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- 14 giugno 1978 - |
Questo è il commiato della maestra dettato alla classe l'ultimo giorno di scuola, che Roberta Ferrario ha conservato.
Quello che c'è scritto credo sia vero, compresa la teoria del fine che giustifica i mezzi (durezza e severità per scuotere e spronare).
Teoria che è sbagliata, perché i mezzi sono importanti e se non sono leciti non lo sono e basta, indipendentemente dalla bontà del fine.
La maestra la pensava in un altro modo, ma almeno aveva il coraggio di ammetterlo. Un'altra avrebbe detto: "Io? Io non ho mai... mai mi sarei permessa di ecc. ecc." Viva il coraggio delle proprie idee, anche se sbagliate.
Da notare che "scuotere" per lei non era propriamente una metafora. Ricordo che una volta mi scosse tenendomi per i capelli. Cose dell'altro secolo.
Meno male che "spronarci" è rimasta metafora, visto che per la Treccani significa: "Pungere, stimolare con gli sproni".
Non mi piace il riferimento ai "meno volenterosi" (immaginiamo che ci fosse anche una versione per i maschi).
In realtà, volenterosi eravamo tutti, solo che alcuni corrispondevano al suo modello di bambino e altri no, tutto qui, ed è stato molto ingiusto chiamare "meno volenteroso" chi non corrispondeva.
Del resto, scagli la prima pietra chi non ha mai fatto lo stesso errore con i propri figli o allievi (per chi ce ne ha).
Sulla disponibilità era sincera.
Bello quel numero di telefono (senza prefisso, démodé), più diretto e intimo della @ che si userebbe oggi. Quel paio di volte che sono andato a trovarla - una con il Pepa, se non ricordo male - era sempre ospitale e apriva casa sua senza cerimonie e senza bisogno di particolari preavvisi (in questo non era triestina).
Era sincera anche sul fatto che ci avrebbe ricordato per sempre e che avrebbe sempre voluto che riuscissimo in tutto (anche troppo).
Grazie a Roberta Ferrario, anche per la grafia leggibilissima.
L.T.